Abstract
Titolo

DUE CASI DI INTOSSICAZIONE GRAVE DA PUNTURA DI MALMIGNATTA

 
Autori

Sarah Vecchio(1), Valeria Petrolini(1), Davide Lonati(1), Andrea Giampreti(1), Stefania Bigi(1), Emanuele Sesti(2), Carlo Locatelli(1), Luigi Manzo(1)
(1) Centro Antiveleni di Pavia - Centro Nazionale di Informazione Tossicologica, Servizio di Tossicologia, IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri e Università degli Studi di Pavia, www.cavpavia.it (2) Pronto Soccorso, Fondazione Istituto San Raffaele G. Giglio, Cefalù

 
Abstract

Introduzione La malmignatta (ragno volterrano, Latrodectus tredecimguttatus) è un aracnide appartenente alla famiglia delle più note vedove nere americane (Latrodectus mactans). È facilmente riconoscibile per la presenza di 13 macchie rosse sul dorso nero ed è diffuso in centro Italia e Sardegna. La sua puntura può causare una sintomatologia sistemica grave e quindi, insieme al ragno violino o Loxosceles rufescens, rappresenta sul nostro territorio una specie temibile per l’uomo. Vengono descritti 2 casi di avvelenamento grave da puntura di malmignatta. Casi clinico 1. Un uomo di 28 anni giunge in pronto soccorso (PS) lamentando algie diffuse a torace, addome e dorso associate a sudorazione profusa. Il paziente è sofferente, dispnoico, con addome teso, globo vescicale e modesta ipertermia (37,6°C). Gli accertamenti diagnostici eseguiti nel sospetto di dissecazione aortica o di embolia polmonare risultano negativi. Successivamente, il paziente riferisce di aver avvertito, mentre lavorava in un campo, una puntura al polpaccio destro e visto allontanarsi un ragno nero con puntini rossi sul dorso circa 30 minuti prima della comparsa dei sintomi. In corrispondenza della sede di puntura è presente lieve iperemia senza edema. Nel sospetto di intossicazione da malmignatta vengono iniziati terapia sintomatica e adeguato monitoraggio. Nelle ore successive compare rash cutaneo diffuso. Il giorno seguente il paziente è ancora sofferente, con mialgie diffuse, dolori addominali, angor, ipertensione (PA 170/100), leucocitosi (GB 24.000), lieve aumento della troponina I (TnI) in assenza di segni di ischemia cardiaca all’elettrocardiogramma (ECG) e all’esame ecocardiografico. Contestualmente non si riscontra alcuna evoluzione del quadro locale. Dopo trattamento sintomatico con analgesici oppioidi, il quadro clinico migliora progressivamente fino a risoluzione completa in quinta giornata. Caso clinico 2. Un uomo di 62 anni giunge in PS per riferita puntura di ragno o insetto al 3° dito della mano destra: durante l’attesa, compare improvviso dolore retrosternale irradiato al dorso con sudorazione e transitoria perdita di coscienza. Il paziente è sofferente e sudato, con parametri vitali nella norma, senza deficit neurologici. I polsi periferici sono validi e simmetrici, l’addome è trattabile e dolente alla palpazione profonda ai quadranti inferiori. L’ECG mostra ritmo sinusale senza segni di ischemia. A distanza di 1 ora compare nuovo episodio di sudorazione profusa e sincope: alla ripresa dello stato di coscienza è presente lieve disartria con deficit del VII nervo cranico destro, ipostenia all’arto superiore omolaterale, ipotensione (PA 80/60). ECG e TnI rimangono nella norma, così come le TAC encefalo e torace eseguite nel sospetto di un evento cerebrale acuto o di dissecazione aortica. Nella sede della puntura compare intanto un’area ecchimotico-edematosa: viene ipotizzato che la sintomatologia possa essere riferibile ad avvelenamento da malmignatta. Si verifica un nuovo episodio di ipotensione e sudorazione profusa, con aumento dell’edema alla mano e comparsa di linfangite sino al cavo ascellare senza linfoadenopatia. Gli esami evidenziano leucocitosi (GB 20.000), d-dimero in aumento (da 726 a 1629), mentre TnI e mioglobina rimangono negativi. Il trattamento ha compreso cristalloidi, steroidi, antiistaminici e profilassi antibiotica. Durante la degenza si assiste a graduale miglioramento del quadro clinico fino alla dimissione del paziente in buone condizioni in diciassettesima giornata. Discussione Il veleno della malmignatta è costituito da una miscela di proteine ed enzimi, tra cui la α-latrotossina, che legandosi a specifici recettori presinaptici inducono incremento della permeabilità delle membrane cellulari e rilascio di acetilcolina. La lesione locale appare cianotica o biancastra, circondata da area edematosa o infiltrata. Successivamente (1-5 ore) compaiono i sintomi sistemici: crampi e fascicolazioni muscolari diffusi, dolore toracico e addominale, alterazioni della coscienza, nausea, vomito e, nei casi più gravi, insufficienza respiratoria e danno miocardico. È possibile anche la comparsa di rash cutaneo scarlattiniforme. Nei casi severi si impone adeguata diagnosi differenziale per escludere patologie estremamente gravi. La persistenza della sintomatologia varia in base alla quantità di veleno inoculata e alla gravità dell’avvelenamento, e la risoluzione del quadro clinico può richiedere alcuni giorni. La terapia è generalmente sintomatica: gestione locale della lesione, infusione di steroidi, antiistaminici, profilassi antibiotica e antitetanica. Non vi sono ad oggi prove di efficacia del siero anti-latrodectus, che in questi pazienti non è stato utilizzato in quanto non disponibile.