Abstract
Titolo
Le droghe degli altri. Le sostanze psicoattive di uso etnico
 
Autori
Paolo Nencini Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Sapienza Università di Roma
 
Abstract
Le specificità etniche nell’uso ricreativo di sostanze psicoattive sono ampiamente note. Ne sono esempi il fumo dell’oppio nelle aree montane del sudest asiatico, la masticazione del betel nel subcontinente indiano, delle foglie di coca nelle regioni andine, del khat nel Corno d’Africa e nella penisola arabica. È lecito quindi chiedersi quanto i recenti flussi migratori dalle regioni sopra indicate abbiano modificato il profilo di consumo di droghe nel nostro Paese. Il khat appare l’unica droga ad avere accompagnato i consumatori nel loro dislocamento. I nostri dati dimostrano che il suo consumo era già attestato nella comunità somala di Roma nel l988, mentre dai sequestri effettuati dalle forze dell’ordine si evince l’attuale diffusione del khat all’intero territorio nazionale. Il khat consiste nelle foglie giovani e nei germogli della Catha edulis Forsk, una specie arborea originaria degli altipiani del Corno d’Africa e diffusasi per via antropica ad est nella penisola arabica e a sud negli altipiani dell’Africa orientale. In queste regioni la masticazone del khat è infatti parte integrale delle abitudini di socializzazione di larga parte della popolazione maschile adulta. L’attività farmacologica del khat è strettamente dipendente dal suo contenuto in catinone (alfa-aminopropiofenone), un composto altamente instabile che si decompone con l’essiccamento del materiale vegetale: tipicamente, nel giro di 3-4 giorni il contenuto in catinone si riduce fino a rendere non più commerciabile il khat. Un secondo principio attivo, la catina (+-norpseudoefedrina), è più stabile ma farmacologicamente molto meno attivo del catinone. Gli studi sperimentali e clinici concordano nell’attribuire al catinone un meccanismo d’azione interamente anfetaminico, ma con una potenza inferiore a quella della d-anfetamina. Gli effetti della masticazione del khat sono pertanto caratterizzati da aumentata vigilanza, euforia, resistenza alla fatica, riduzione dell’appetito, insonnia, oltre agli effetti della stimolazione simpatica, con aumento della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della temperatura corporea. Sebbene in condizioni sperimentali il catinone sia autosomministrato dalla specie infra-umane, la capacità del khat di indurre dipendenza è alquanto ridotta, probabilmente per motivi farmacocinetici (ridotta estrazione del catinone e suo limitato assorbimento attraverso la masticazione del khat). La comparsa di episodi psicotici acuti è il principale motivo di presentazione all’osservazione medica dell’intossicato da khat. Per motivi non chiari tali episodi sono di più frequente riscontro nei paesi d’immigrazione che non in quelli di origine. La più recente estensione del consumo di khat alla donna ha aperto il problema di tale consumo in corso di gravidanza: i dati disponibili documentano di una riduzione del peso corporeo alla nascita. Un problema serio nei paesi di immigrazione è che il consumo di khat in corso di gravidanza può essere associato a quello di altre droghe, inclusa l’eroina. Per quanto riguarda la tossicità del consumo cronico di khat, l’attenzione si è incentrata sulle lesioni della mucosa orale indotte dalle sostanze irritanti contenute nelle foglie. La possibilità di sviluppo di neoplasie della cavità orale ad opera del khat rimane tuttavia indimostrata. In conclusione, il consumo di khat in Italia costituisce una tipologia d’uso voluttuario di sostanze psicoattive del tutto nuovo, ancorché largamente circoscritta alle comunità etniche di consumo tradizionale. Malgrado la limitatezza delle proprietà tossicomanigene del khat, gli effetti psicotici acuti da esso provocati e la possibilità di interazione con altre sostanze d’abuso richiedono che il personale sanitario sia consapevole della diffusione di tale sostanza nel territorio italiano. Graziani M, Milella MS, Nencini P. Khat chewing from the pharmacological point of view: an update. Subst Use Misuse. 2008;43:762-83.