Abstract
Titolo
Esposizione in utero a di(2-etilesil)ftalato e marcatori di effetti epatici nel topo.
 
Autori
R. Tassinari1, S. Lorenzetti1, G. Moracci1, A. D’Ambrosio1, D. Marcoccia1, A. Eusepi3, A. Di Virgilio3, A Romeo4, M. Salvatore2, D. Taruscio2, A. Mantovani1, F. Maranghi1 Istituto Superiore di Sanità – ISS, 1Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, 2Centro Nazionale Malattie Rare, 3Servizio Biologico e per la Gestione della Sperimentazione Animale, 4Dipartimento del Farmaco.
 
Abstract
Gli ftalati, in particolare il di(2-etilesil)ftalato (DEHP), sono ampiamente utilizzati come plasticizzanti per rendere flessibili le plastiche a base di PVC (imballaggi, giocattoli, cosmetici, dispositivi medici - tubi e sacche per trasfusioni). Possono venire rilasciati dal PVC ai cibi e fluidi biologici con cui vengono a contatto, determinando un’esposizione attraverso gli alimenti della popolazione generale ma soprattutto di fasce di popolazione suscettibili quali l’infanzia (inclusi i bambini nati pre-termine) e gli adulti sottoposti a trattamenti medicali continui. Gli studi sperimentali hanno dimostrato l’embriotossicità e la teratogenicità del DEHP a seguito di esposizione durante la gravidanza ed hanno, inoltre, permesso di includere il DEHP fra gli interferenti endocrini (IE) a causa degli effetti tossici indotti a carico principalmente del sistema riproduttivo (antiandrogeno). A livello molecolare, il DEHP interferisce con i “Peroxisome Proliferator-Activate Receptors" (PPARs), fattori di trascrizione che modulano l’espressione di geni coinvolti nella risposta a ligandi di origine endogena ed esogena. I PPARs sono espressi in diversi tessuti (fegato, tessuto adiposo) regolandone il metabolismo ed il trasporto dei lipidi e del glucosio. Scarsi dati sono disponibili sui possibili effetti sull’omeostasi energetica indotti da un’esposizione a DEHP in epoca prenatale e sulle potenziali alterazioni a lungo termine indotte durante le fasi critiche di sviluppo e differenziazione del fegato. Per verificare i potenziali effetti a lungo termine del DEHP sul metabolismo energetico, topi CD-1 sono stati esposti durante i giorni di gravidanza (GG) 11-19 per via orale a 0 (solo veicolo = olio di oliva), 25 e 100 mg/kg di peso corporeo pro die di DEHP. Tale finestra di suscettibilità corrisponde nel topo alla fase di organogenesi ed istogenesi del fegato. Gli animali sono stati controllati quotidianamente durante il trattamento per le condizioni generali di salute, il del peso corporeo e del consumo di mangime. Successivamente sono stati lasciati partorire spontaneamente e, dopo il parto (giorno post-natale [GPN] = 0), le nidiate sono state pesate, contate e controllate per l’eventuale presenza di piccoli morti e/o malformati. Successivamente madri e nidiate sono state pesate e controllate ogni 4 giorni. Al GPN 21 (svezzamento del topo) e successivamente al GPN 35 (raggiungimento della pubertà nel topo) metà delle nidiate e tutte la madri (al GPN 21) sono state prima sottoposte, previa anestesia, al prelievo ematico e sacrificate. E’ stato pesato e prelevato il fegato, fissato in formalina tamponata al 10% per successive analisi istopatologiche. L’esposizione a DEHP durante la gravidanza non ha causato nelle madri alcun segno di tossicità generale; il peso corporeo è risultato inferiore nei trattati rispetto al gruppo di controllo durante la gravidanza, mentre nessun effetto è stato riscontrato durante l’allattamento. Il consumo di mangime non è variato. Il peso del fegato non è risultato alterato. Il peso medio e la numerosità delle nidiate sono risultati inferiori nei gruppi trattati con DEHP. Nei maschi della generazione F1, a livello istopatologico, l’esposizione in utero a DEHP ha evidenziato: i) la riduzione dose-dipendente dell’accumulo di glicogeno epatico; ii) l’aumento dose-dipendente di vacuolizzazione citoplasmatica, indice di accumulo lipidico (epatosteatosi); e iii) un aumento della beta-catenina citoplasmatica quale indicatore indiretto di maggiore proliferazione cellulare. Difetti nella sintesi e nell’accumulo di glicogeno sono stati associati al ritardo di crescita intrauterino: ratti knock-out per IGF2 (il regolatore principale del metabolismo del glicogeno in fase embrionale) mostrano sia un chiaro ritardo intrauterino della crescita sia la concomitante riduzione dell’accumulo del glicogeno. Negli epatociti, il mancato accumulo di glicogeno comporta l’attivazione della sintesi degli acidi grassi ed infatti nei topi CD1 esposti a DEHP si osserva epatosteatosi. Il trattamento in utero dei topi CD1 con DEHP comporta quindi un’alterazione metabolica dei tessuti epatici i cui meccanismi d’azione devono essere chiariti. Lo studio dei contaminanti degli alimenti e dell’ambiente che interagiscono con tali recettori, insieme ad altri quali il "Pregnane X Receptor" (PXR), il "Liver X Receptor" (LXR), rappresenta la nuova prospettiva di ricerca sugli IE che amplia la visione tradizionale di caratterizzazione di biomarcatori precoci di effetto a carico del sistema endocrino-riproduttivo a quella più mirata al sistema endocrino-metabolico.