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ABSTRACT

Title
Valutazione dell’ intake di xenobiotici nel latte

 
Authors
C. Naccari1, F.Giofrè 2, L. Siracusa3, G. Giangrosso4, V. Ferrantelli4

1Dipartimento Farmaco-Biologico, Università di Messina;2ASP 8 Vibo Valentia; 3Istituto del CNR di Chimica Biomolecolare, Catania; 4Istituo Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia - Palermo.
 
Abstract
Il latte è un alimento essenziale nella dieta per le sue caratteristiche nutrizionali, largamente consumato come tale o derivati caseari. Può essere veicolo di molte sostanze xenobiotiche (metalli, pesticidi, antibiotici, ecc.), essendo un prodotto di escrezione della ghiandola mammaria, e di altre sostanze tossiche neoformate (idrocarburi policiclici aromatici IPA, nitrosammine, ecc.), che si sviluppano durante i trattamenti termici di risanamento e i processi industriali di trasformazione.
Ai fini della sicurezza alimentare, il Regolamento CE N. 1881/2006 stabilisce un limite massimo residuale (MRL) di 0.02 mg/kg w.w. per il Pb nel latte e relativamente alla presenza di IPA, nel latte e in alimenti derivati della prima infanzia, fissa un limite massimo di 1 μg/kg di Benzo(a)Pirene, marker di contaminazione da IPA.
Nel presente studio, sono stati determinati i livelli residuali di alcuni metalli pesanti (Pb, Cd e As) e degli IPA più importanti dal punto di vista tossicologico in campioni di latte crudo, pastorizzato e UHT. Imetalli sono stati analizzati mediante spettroscopia di assorbimento atomico (AAS) mentre gli IPA con HPLC-FL e analisi di conferma in HPLC-MS. I dati sono stati valutati statisticamente mediante analisi della varianza (ANOVA) e il test di Student-Newman-Keults.
I risultati ottenuti mostrano la presenza di livelli residuali di metalli pesanti ed IPA in tutti i campioni di latte analizzati e confermano come il consumo di latte, in particolare quello sottoposto a trattamento termico, possa contribuire all’intake di tali sostanze xenobiotiche, anche se in concentrazioni inferiori ai limiti stabiliti dalla vigente normativa comunitaria.
Dall’analisi dei risulati ottenuti è possibile concludere che il latte contribuisce in maniera marginale all’intake di metalli pesanti ed IPAattraverso la dieta, con un basso rischio per il consumatore. E’ sempre consigliabile, comunque, un continuo monitoraggio dei suddetti contaminati a tutela di bambini e anziani che sono le categorie più a rischio.